Giovedì 21 gennaio, durante il mio Live Show, ho avuto come ospite Roberto Buonanno, esperto di influencer marketing. Di cosa si tratta? Roberto lo spiega all’inizio della nostra chiacchierata: significa utilizzare gli influencer per il proprio marketing, ossia per identificare come vendere al meglio prodotti o servizi all’interno del proprio mercato. Attualmente esistono influencer di ogni tipo e l’anno scorso, complice il Covid-19, l’influencer marketing ha toccato vette stellari. Questo perché si è verificato un notevole aumento delle persone a casa, con un relativo incremento del tempo trascorso davanti agli schermi. Durante il 2020 perciò sono cresciuti quasi tutti gli influencer, tranne ad esempio quelli che si occupavano di turismo, che hanno avuto grandi difficoltà.
Per un influencer è fondamentale individuare un target di pubblico specifico: ci sono casi eclatanti come quello di Chiara Ferragni, la quale ormai ha un seguito planetario e la cui attività ha sempre successo. Ma anche lei ha un target di riferimento preciso che conosce alla perfezione. Roberto personalmente segue influencer con target estremamente peculiari, come le donne in gravidanza o con bambini di età compresa tra i due e i tre anni. A suo parere, oggi l’influencer generico ha pessime prospettive: è necessario trovare una propria nicchia, un proprio verticale per cui essere un punto di riferimento. Solo in questo modo si ha una capacità di influenza, cioè di influire sulle scelte di acquisto del proprio pubblico oppure, nel caso degli influencer della politica, di influenzare l’orientamento verso un politico piuttosto che un altro.
In poche parole, secondo Roberto l’influencer funziona quando ha un pubblico ben definito e quando sa cosa significa comunicare a quel pubblico. Con un esempio, se un influencer si rivolge alle donne in dolce attesa e sceglie di fare pubblicità all’ultimo videogioco cyberpunk, dietro c’è l’errore di qualcuno: di chi ha pianificato, dell’agente o dello stesso influencer che ha accettato la campagna in questione. Roberto cita Simon Sinek, autore di Start with Why, il quale afferma che quando si ha una missione, a un certo punto il pericolo che si corre è quello dello split, ossia della divisione. E se un influencer ha la missione di comunicare a un determinato pubblico, non deve accettare qualcosa che lo faccia deviare da questa missione, magari per la lusinga di una partnership o per qualche soldo in più.
Come si fa a essere scelti come influencer da Roberto Buonanno? La sua azienda 3Labs, editrice italiana del noto sito di tecnologia Tom's Hardware, scova i potenziali influencer guardando al talento: si pensi che 3Labs ha preso tanti ragazzi con pochissimi follower, che oggi ne vantano 3/4 milioni. Se da un lato possono contare su personaggi che sono con loro da diversi anni come Jakidale e CiccioGamer, dall’altro hanno letteralmente creato giovani influencer emersi da poco tempo come Ale & Pié: dopo averli scoperti in una sorta di talent show, Roberto ha deciso di seguirli. Il risultato? I due partendo da zero, senza neanche avere un profilo su TikTok e su Instagram, sono arrivati a oltre un milione e mezzo di follower in meno di un anno.
Ma il talento si impara o è innato? Roberto risponde con l’esempio di Federer contro Nadal: infatti nonostante gli allenamenti, la meditazione e la disciplina è impossibile diventare Federer. Il talento naturale, l’istinto, l’eleganza e l’agilità che lo caratterizzano sono un mix ineguagliabile. Però si può diventare Nadal, il quale ha vinto più tornei di Federer. Diventare Nadal significa allenarsi tantissimo e infatti Roberto con i suoi allievi influencer utilizza sempre la sua formula personale delle tre C: costanza, continuità e… Fortuna.
A questo punto ho chiesto a Roberto come mai molte aziende preferiscono adottare schemi più tradizionali rispetto all’utilizzo degli influencer. Secondo lui alcune hanno un incredibile approccio, sono preparatissime e contattano la sua agenzia proprio per avere l’opportunità di lavorare con gli influencer. Altre invece hanno paura: Roberto, tra le multinazionali più importanti, ha avuto a che fare con una del settore food che ha timore di affrontare il mercato degli influencer, perché afferma che nella sua posizione di leader mondiale non può permettersi di mettere il suo brand “in bocca a qualcuno”. In ogni caso, le opportunità date dagli influencer sono note a tutti e buona parte delle ricerche di mercato concorda sul fatto che gli influencer targettizzati a dovere fanno vendere molto di più della pubblicità sui giornali, sui siti e sui media ormai tradizionali.
Certamente bisogna tenere conto dell’enorme sensibilità delle corporate: con un altro esempio, Disney ha stracciato un contratto da un milione di dollari con PewDiePie, il più grande Youtuber di sempre, pagando anche una penale. Il motivo? In uno dei suoi video ci sarebbe stata un’allusione all’antisemitismo. Per questa ragione bisogna lavorare bene e, nel caso in cui si abbia a che fare con un’azienda con questo tipo di policy, il consiglio di Roberto è rivolgersi a un’agenzia come la sua, che mette al primo posto etica, trasparenza e correttezza.
Per concludere, Roberto suggerisce alle aziende di creare contenuti in prima persona, lavorando nell’ottica del personal branding. Infatti a suo parere nell’odierno mondo del marketing si hanno due possibilità: la prima è diventare schiavi di Google, di Facebook e di chiunque venda ads. La seconda strada invece consiste nel creare il proprio canale organico capace di portare visibilità, lead e vendite, semplicemente esponendo le proprie competenze e guadagnando in autorevolezza. Perciò gli imprenditori devono creare contenuti e ottenere, oltre all’autorevolezza, la credibilità e la fiducia del proprio pubblico, diventando un punto di riferimento. Oltretutto questo approccio non rappresenta una novità, dato che è dai tempi di Giovanni Rana o Ennio Doris che diversi imprenditori hanno avuto successo mettendoci la faccia. E, secondo Roberto, chi oggi si tira indietro fa un errore madornale.
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