Il Piracy Shield - da non confondere con il Privacy Shield - permette alle autorità italiane di ottenere nuovi poteri per contrastare la pirateria online rispetto agli eventi trasmessi in diretta. L'attenzione è rivolta soprattutto alle partite di calcio e in generale agli eventi sportivi live. Il funzionamento:
"il blocco degli FQDN e degli indirizzi IP, univocamente destinati alla diffusione illecita dei contenuti protetti, avvenga entro trenta minuti dalla segnalazione del titolare per il tramite di una piattaforma tecnologica unica con funzionamento automatizzato".
Questa è la definizione AGCOM. Tecnicismi a parte, ecco la sintesi: su questa piattaforma si raccolgono indirizzi IP attraverso le segnalazioni di chi detiene i diritti degli eventi, tipo le partite di calcio.
Nell'arco di 30 minuti dalla segnalazione, i fornitori di servizi internet hanno l'obbligo di oscurare la risorsa segnalata. E hai a disposizione solo 60 secondi per correggere eventuali errori inoltrati al Piracy Shield. Forse questa combinazione di tempi stretti ha portato ad alcuni problemi organizzativi. E a bloccare anche delle risorse non direttamente legate alla pirateria come Google Drive.
Alla base di tutto ciò c'è la crescente preoccupazione rispetto al fenomeno della pirateria online verso le dirette trasmesse dai servizi a pagamento come DAZN dei diversi eventi sportivi, in primo luogo le partite di calcio. Numerosi interventi sono stati intrapresi senza successo, fino ad arrivare al Piracy Shield.
Vale a dire un servizio - introdotto con la legge 14 luglio 2023, n. 93, entrata in vigore l'8 agosto - a disposizione dei servizi streaming che permettono di segnalare e bloccare in automatico gli IP o i Fully qualified domain name (FQDN, un nome di dominio non ambiguo per identificare una risorsa online) dei siti pirata. Ovvero quelli che trasmettono in diretta, e senza permesso, gli eventi sportivi.
I requisiti tecnici e operativi della piattaforma realizzata da realizzata da Sp Tech, startup collegata allo studio legale Previti, sono stati definiti dal 7 settembre 2023 dal tavolo tecnico in collaborazione con l'Agenzia per la cybersicurezza. Il tutto è entrato in servizio il 1 febbraio 2024, con risultati discutibili.
Non è la prima volta che succede qualcosa di simile ma l'ultima evoluzione del lavoro svolto dal Piracy Shield ha gettato ombre profonde su questo meccanismo. Perché per diverse ore, nello specifico dalle 20.00 di sabato 19 ottobre, questo filtro ha messo fuori uso Google Drive. Questo perché uno degli IP segnalati proveniva proprio da questa piattaforma che puoi monitorare su https://piracyshield.iperv.it.
Su questo portale trovi i ticket aperti dalle società di streaming. E per un certo periodo di tempo c'è stato anche Google Drive. Un vero problema, soprattutto se questo intoppo accade il lunedì mattina alle 10.00. Ciò accade perché, come ricorda questo articolo di Wired, il sistema studiato alla base del Piracy Shield non tiene conto del fatto che oggi, su uno stesso dominio, esistono varie risorse che vanno online.
Gli errori possono capitare, questo è chiaro. Ma le aziende inviano grandi quantità di indirizzi che vengono lavorati in massa. I tempi di rettifica sono minimi così come quelli per contestare la decisione: hai 5 giorni per fare opposizione e bloccare eventuali errori di valutazione o segnalazione, sempre se te ne accorgi perché non hai alcun avviso ufficiale. Dopo questo periodo non ci sono possibilità di recupero.
Esistono delle White List, degli indirizzi da tutelare, ma non si conoscono ufficialmente gli iscritti. Il problema, secondo l'articolo firmato da Luca Zorloni, è che non c'è un centro operativo della sicurezza (Soc) che monitori l'operato del Piracy Shield. Nel caso di Google, la rimozione è avvenuta in poco tempo e forzando le regole ufficiali. Cosa accade se un piccolo operatore finisce, ingiustamente, nelle maglie di questo filtro? Quanto tempo dovrà rimanere senza sito web per gestire la propria attività?
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